L'utilizzo all'interno degli araldi

Nel vasto mondo degli emblemi e dei simboli, l’insegna parlante, «l’arma» dalla facile immediata lettura che compare sulle bandiere e sugli scudi affonda le sue radici nella più remota antichità. Distintivi del grado, bastoni di comando, scettri fallici, ebbero una loro evoluzione costante dalla funzionalità all’emblema. 

Dall’insieme di questi valori, agli inizi del XII secolo trasse origine quella vera e propria grammatica dei segni che, dal nome dell’esperto nella loro lettura e declamazione venne detta «araldica». 

Dagli stemmi figurati sulle armi, sulle armature e sulle bandiere dei guerrieri «l’arma parlante» si diffuse con l’uso dei sigilli, delle monete, delle firme blasonate, e fu attributo anche delle donne, degli ecclesiastici, dei borghesi, delle città e delle corporazioni. 

Nei blasoni intesi come «arma parlante» la chiave entrò nel XIII secolo, a seguito dell’emblema papale che iniziava la tipica iconografia delle due chiavi incrociate con impugnatura in basso e mappa in alto, sormontate dalla tiara. Come lo stemma era emblema sia di identificazione per il cavaliere coperto di ferro da capo a piedi, sia di appartenenza per i suoi armati e per i suoi famigliari, così per logica conseguenza avvenne ad esempio che città «chiavi di passaggio» su cammini obbligati, quali Worms, Chiavenna, Clauzetto, Clauzière, ponessero nei loro stemmi una chiave; e del pari le famiglie il cui cognome suonava all’incirca come «chiave» o dal termine «chiave»; come gli Schlùsselfelder, di Norimberga, con tre chiavi (Sch‘issel) in campo troncato (Felder); i Cleff, di Amstel; o anche come arma parlante: i Marpe di Arnsbergischen serraturieri in origine, avevano nello stemma, una serratura.